“Voglio imparare a combattere”

Riccardo Smuraglia -

Quante volte avete sentito qualcuno pronunciare questa frase? Che fosse un allievo, un compagno di allenamento o, più semplicemente, voi stessi?

Oltre a non ricordare la volta in cui ho pronunciato io questa frase, ho anche perso il conto delle volte che l’hanno detta a me. Qualcuno appena entrato in palestra, qualcuno dopo qualche lezione, qualcun’altro addirittura dopo anni di pratica. E la mia risposta è stata sempre la stessa: “prima devi sapere chi sei”.

Beh certo penserete voi, dopo più di 40 anni di pratica e 25 di insegnamento, è facile parlare in questo modo e pronunciare queste frasi alla “dice il saggio”!

In realtà la mia risposta è figlia di un episodio accaduto quando avevo 14 anni. Ricordo perfettamente l’esatto momento in cui ho iniziato a capire chi fossi, lo ricordo come fosse accaduto ieri.

Ve lo racconterò più tardi, perché prima voglio rendervi consapevoli di tutto quello che si nasconde dietro il termine “combattimento”.

Forse avete sentito parlare della risposta del nostro corpo al “combatti o fuggi” a seguito di un evento di pericolo, descritta per la prima volta dal famoso fisiologo americano Walter Cannon nel 1929. Questa azione è scatenata dal sistema nervoso simpatico (SNS) e si riferisce alla risposta naturale del corpo e della mente al pericolo.

In sostanza, o si affronta la questione e si combatte, o si evita e si scappa. Questa risposta non è in alcun modo evitabile ma solo gestibile, perché anche il nostro corpo reagisce allo stimolo in primis aumentando la frequenza cardiaca.

Una frequenza cardiaca normale per un atleta varia solitamente tra 50 e i 70 battiti al minuto (bpm). Durante il combattimento la frequenza cardiaca raggiunge una media di 175 bpm. Sotto stress intenso, però, il cuore può far raggiungere medie ben più alte. Il vostro obiettivo dovrebbe essere quello di rimanere il più rilassati possibile. Dal momento che il vostro corpo consuma più energia quando il cuore batte velocemente non potete permettervi di sprecarla mentre siete sul tatami.

Oltre alla frequenza, il vostro corpo aumenta i sensi necessari e diminuisce i sensi inutili di fronte al maggior stress del combattimento. Dato che l’udito, il gusto e l’olfatto non sono necessari durante lo scontro, vengono praticamente disattivati.

La vista diviene il vostro senso più importante durante il combattimento. I vostri occhi si adattano quando siete sul tatami: le pupille si dilatano per offrire una vista più focalizzata. Sfortunatamente, se la vostra mente non gestisce lo stress il vostro canale visivo si restringe e perdete efficacia con il primo sintomo negativo nell’incapacità di concentrarsi.

Anche se voi e il vostro maestro avete preparato una strategia attenta e precisa, esiste un’ottima probabilità che questa non sia efficace se siete troppo tesi e nervosi. I vostri movimenti saranno meno fluidi, i vostri colpi meno tecnici e precisi, il vostro tempo di reazione si amplierà e, la frustrazione di non riuscire, prenderà il sopravvento determinando la sconfitta. Tutto questo in poco più di 3 minuti!

Negli sport da combattimento abbiamo a che fare soprattutto, ed ovviamente, con il dolore e la paura.

La paura è una cosa prettamente mentale che può essere gestita o addirittura “trasformata” solo tramite un vero e proprio allenamento mentale.

Il dolore è indubbiamente qualcosa di più “fisico”, ma il 50% dei suoi effetti dipendono sempre dalla nostra mente.

La famosa “soglia del dolore” è determinata da fattori genetici, ma è anche una risposta mentale che dipende profondamente da quanto conoscete voi stessi.

È scientificamente dimostrato che l’energia mentale richiesta negli sport da combattimento è superiore a qualsiasi altra discipline sportiva. Lo scontro diretto con un avversario, la rapidità delle azioni, i tempi ristretti di recupero e la concreta possibilità di dover combattere magari in situazioni di svantaggio fisico, a causa di un infortunio per esempio, richiedono una mente solida e perfettamente allenata.

Ovunque e comunque si scrive e si parla di allenamenti specifici per sviluppare la forza, aumentare la velocità e la precisione dei colpi, incrementare il livello del cardio o migliorare i riflessi. Forse non si parla abbastanza dello sviluppo della “mente” di un combattente, o “fighter” che dir si voglia.

Sempre studi scientifici ci dicono che le performance fisiche sono direttamente proporzionali al livello di auto-efficacia dell’atleta e perché questo accada è fondamentale la preparazione mentale che dovrebbe andare di pari passo con quella atletica.

È del tutto naturale sperimentare un certo grado di paura prima di combattere per la prima volta o anche la seconda, la terza, la quarta e così via. In un certo modo la paura non passa mai. Si impara solo a gestirla e trasformarla in energia positiva.

Tutti i fighter prima di salire sul tatami vengono colpiti da una serie di emozioni. Chi mi dice che sente un blocco allo stomaco, chi le gambe pesanti, chi fa fatica a pensare chiaramente e chi inizia a sudare freddo. Volete sapere cosa accadeva a me? Un improvviso crampo allo stomaco e di corsa al bagno! Si lo so non è una bella immagine, ma ogni volta era così.

La paura, in generale, nasce dall’apprensione e dall’ansia verso un evento futuro che non sappiamo cosa porterà, dalla possibilità di provare dolore fisico e dall’angoscia di essere sconfitti. Ovviamente la paura è un ostacolo creato dalla nostra immaginazione e le barriere mentali sono molto più difficili da superare rispetto a qualsiasi impedimento fisico.

Allo stesso modo, però, un qualsiasi impedimento fisico può essere gestito da una mente ben allenata. A Dublino, tanti anni fa, durante la semifinale della categoria Open di un campionato europeo mi ruppi le ultime 3 dita del piede destro. Non chiedetemi come feci perché non lo ricordo e soprattutto me ne accorsi solo alla fine del combattimento ovviamente. Il problema fu che il programma dell’Europeo prevedeva 90 minuti di pausa prima delle finali. Il medico mi disse che non avrei potuto combattere e mentre il tempo passava il dolore era sempre più forte. Rimasi sdraiato con il ghiaccio sul piede e la mia mente in sottofondo, oltre a numerose parolacce, iniziò a produrre pensieri negativi del tipo “ma che sfortuna proprio adesso!”, “il mio avversario pesa 18 chili più di me!”, “come farò ad alzarmi o tirare anche solo un pugno?!” e via così all’infinito. Poi lo speaker chiamò il mio nome per la finale e all’improvviso lanciai la borsa del ghiaccio e senza rendermene conto mi trovai a correre per andare verso il tatami come se niente fosse. La mia mente “marziale” aveva disinnescato automaticamente tutti i pensieri negativi ed aveva “spento” il dolore che, ahimè, puntuale si riaccese dopo la finale.

Rimanere disciplinati e superare la paura sono abilità necessarie e fondamentali in tutti gli sport ma soprattutto in quelli da combattimento. Indipendentemente dal proprio livello di abilità, tutti i fighter soffrono di affaticamento sia fisico sia mentale e affrontano una quantità enorme di stress prima di un combattimento.

Lo scopo ultimo di una preparazione completa è quello di far progredire lo spirito attraverso il rafforzamento fisico del corpo e l'apprendimento della tecnica ossia di raggiungere la fusione dei 3 elementi che costituiscono l’essenza delle arti marziali, "SHIN (il cuore = la forza d'animo), GI (la tecnica), TAI (il fisico)".

La preparazione atletica sempre più intensa con il salire della soglia aerobica, la ripetizione continua delle tecniche e della loro relativa efficacia, lo sparring specializzato, allenano corpo e mente a riconoscere momenti situazionali familiari. In questo modo le circostanze di stress saranno a noi note e sapremo rispondere con equilibrio ad esse. Tutto questo porta il fighter a raggiungere lo Shin-Gi-Tai!

Per chiudere vi racconto l’episodio che ho lasciato in sospeso all’inizio. Era un allenamento dopo la pausa estiva. Come detto avevo 14 anni, erano 7 anni che praticavo, ero molto bravo tecnicamente ma ancora non ero efficace nel combattimento, anzi, a dirla tutta le prendevo continuamente e da chiunque.

Il Maestro, dopo il suo solito riscaldamento alla “ne rimarrà uno solo” ci disse di mettere i guantini, di scegliere un compagno e di iniziare a combattere.

Io fui “scelto” da Gianluca, più grande di me di un paio d’anni, di qualche chilo e che adorava strapazzarmi. Quella sera però le cose andarono diversamente. Non ricordo le tecniche o i movimenti, i calci ed i pugni che tirammo ma ricordo la sua espressione impotente e la mia sensazione di controllo in tutti quei minuti. Alla fine mi accorsi che il Maestro mi stava guardando, mi avvicinai a lui e dissi “Maestro ha visto ho cambiato modo di combattere e ho vinto”. Lui mi guardò e mi disse: “combatti allo stesso modo di prima, sei tu che sei cambiato”. Porto ancora dentro di me la sua espressione seria ma sempre divertita con cui insegnava. Non ho mai dimenticato quel momento e mai lo dimenticherò. Il momento in cui il mio Shin-Gi-Tai iniziava a prendere forma.